martedì 18 settembre 2007

La parola all'esperto

In seguito al piccolo dibattito sul "sì" aperto nel precedente post, pubblico qui l'illuminante testimonianza del Maestro Gaetano Fiorin (Università di Verona) che screma, rifinisce e sigilla il discorso.

Caro Dottore,

spero di non rendere la conversazione inutilmente sterile. Con quelle righe intendevo semplicemente screditare la regola "semantica" in favore di quella "etimologica". Provo ora a spiegarmi meglio e spero di dimostrarti che la regola etimologica non solo è preferibile empiricamente ma anche, e soprattutto per i sostenitori del buon scrivere, intellettualmente più interessante.

Innanzi tutto il "sì" nella locuzione "far sì che" non sembra comportarsi come il "sì" affermativo comune (cioè, tecnicamente, un "polarizzatore"). Lo si può vedere da alcune proprietà distribuzionali (cioè, sintattiche) e semantiche. Detto in poche parole, quel "sì" sembra comportarsi come un "così". La cosa non sorprende dal momento che il "sì" italiano deriva dal latino "sic" che significa proprio "così". Devo dire che la semantica/interpretazione che proponi tu per "far sì che" è piuttosto interessante, e ci devo riflettere. Per ora non mi convince (per esempio, mi aspetterei che questo tipo di costruzione fosse più produttivo).

Il punto a cui voglio arrivare però è un altro. Assumi per un attimo che il "sì" di "far sì che" non sia un sì propriamente affermativo. Supponi poi che io sia un giovane apprendente dell'Ufficio Metrico desideroso di imparare a scrivere correttamente l'italiano. Chiedo: "in base a quale regola decido di mettere o non mettere l'accento sul 'si'?" Risposta: "l'accento va messo sul 'sì' affermativo". Sostengo che questa regola non sia una buona regola. Descrive correttamente uno stato di cose (è, cioè, una generalizzazione) ma non descrive univocamente uno stato di cose. La regola, infatti, dice che tutte le istanze di "sì" affermativo portano l'accento ma non dice se tutte le istanze di "sì" accentato sono espressione di "sì" affermativo. Considera adesso le due possibilità:
i. Con la regola si intende che tutte le istanze di "sì" accentato sono espressione di "sì" affermativo. In questo caso ho un problema con espressioni come "far sì che". Io, giovane apprendente, posso ritenere che non si tratti di un sì affermativo (avrei le mie ragioni) e decidere quindi di non accentarlo. Avrei commesso un errore.
ii. Con la regola non si intende che tutte le istanze di "sì" accentato sono espressione di "sì" affermativo. Per implicatura, deduco che esistano casi di "sì" accentato che non sono "sì" affermativi. Quindi, la regola mi lascia nel terrore di commettere errori.

Esiste però una regola, cioè la regola comunemente adottata, che ci evita questi problemi: vanno accentati tutti (e solo) i "si" che derivano dal latino "sic". Questa regola ci permette di ottenere lo stesso risultato (addestrare l'apprendente in modo sano) e ci evita cavillose discussioni semantiche (se quel tal "sì" sia o non sia propriamente affermativo, etc...). Potresti obiettare che allora bisogna conoscere l'etimologia delle parole per scriverle correttamente. Ma questo, se ci pensi bene, è proprio ciò che ci piace del bello scrivere. Le lingue naturali ci permettono di comunicare ma scrivere ci permette anche qualcosa di più. Scrivere è cultura e la scrittura ci permette non solo di trasmettere un messaggio in senso stretto ma anche un valore culturale. Non sono solo le parole e le frasi che i segni grafici rappresentano a significare qualcosa. Anche i simboli grafici stessi hanno la potenzialità esprimere un loro significato autonomo. Scrivendo il "sì" con l'accento, per esempio, diciamo qualcosa sulla storia della lingua che parliamo. Mi sembra un'ottima ragione per scrivere bene (e, di conseguenza, per appoggiare il lavoro dell'Ufficio Metrico).

sabato 8 settembre 2007

Minoranza schiacciante

Ebbene sì, l'accento sul sì affermativo sta scomparendo. Se fossimo dei linguisti diremmo che si tratta di una variante che sta prendendo piede e constateremmo con distacco scientifico il fenomeno.
Ma non siamo linguisti.
Siamo grammatici, e siamo indignati.
L'accento sul sì affermativo va sempre apposto (ci sono comunque scuole che lo vorrebbero acuto, altre che lo vorrebbero grave); non solo per differenziarlo dal si (impersonale, passivante, riflessivo, come in "Si va a scuola", oppure "Paola si rovina la media", oppure "I libri si leggono troppo poco"), ma anche e soprattutto perché si tratta di una regola della lingua italiana e come tale è un dolce giogo da tenere sulla cervice.

Tre bocciati, dunque, tra i tanti che quotidianamente si incontrano:

1) Unicredit, che propone il SI senza accento nella schermata della ricevuta dopo il prelievo:


2) La ASL di Verona con il modulo per l'autocertificazione per l'idoneità al pubblico impiego:


3) La pubblicità televisiva del Tè Freddo San Benedetto, dove al gioioso volto della bambina è sovrimpresso l'orribile errore (monito della futura bocciatura anche della simpatica attrice):


Sarebbe dunque il caso che queste sedicenti grandi aziende internazionali, aziende pubbliche ed agenzie pubblicitarie scegliessero un po' meglio i loro collaboratori e soprattutto i loro revisori.